-Prima parte-

La ricerca di un Principe per l’Albania, come la Conferenza degli Ambasciatori aveva stabilito, cominciò subito. La nomina di un sovrano straniero non era certo una prassi nuova. Nel corso del secolo precedente le Potenze avevano assegnato ai nuovi Stati che sorgevano dallo smembramento del’Impero Ottomano principi europei appartenenti soprattutto alle piccole dinastie tedesche, quasi tutte “mediatizzate” cioè privatizzate o meglio ridotte allo stato di sovranità virtuale con l’incorporazione dei loro principati in Stati tedeschi più grandi, quelle dinastie che sono state per secoli la grande riserva dei matrimoni regali. Doveva naturalmente trattarsi di un principe che raccogliesse il consenso delle Potenze e quindi non legato ad una Casa regnante troppo potente o direttamente implicata nella regione. Si era sempre trattato poi di principi cristiani, protestanti o cattolici che adottavano di buon grado la confessione del loro regno. Ma l’Albania, prevalentemente musulmana, era un caso nuovo e diverso.

Per l’Albania la rosa dei candidati fu inizialmente piuttosto ampia. Già nel marzo del 1912, Ferdinando di Borbone – Orléans, Duca di Montpensier, si era recato su uno Yacht inglese a Valona ed aveva proclamato la propria candidatura al trono d’Albania. Cordialmente ricevuto dagli albanesi, era partito per Roma, Parigi, Vienna e Londra con Isa Boletini, uno dei capi della sollevazione del Kosovo contro i turchi, per raccogliere appoggi per l’indipendenza albanese, ma con poco successo. Il tempo non era ancora maturo, ma gli avvenimenti incalzavano.

Dopo Londra, le Potenze iniziarono complesse ed intense consultazioni con tutta l’attenzione per i delicati equilibri che già si prefiguravano. Oltre a Montpensier, tra i candidati inizialmente presi in considerazione figuravano i principi Maurizio di Schaumburg-Lippè, Karl von Urach, Ghika di Romania, Rolando Buonaparte, Arthur of Connaught, il Conte di Torino ed anche un discendente di Skanderbeg che viveva in Italia, Aladro Castriota. La Sublime Porta, in considerazione della religione della maggioranza dei futuri sudditi, propose a sua volta tre principi musulmani, Burhan Eddin e Abdul Mejid, della dinastia ottomana, e il Principe d’Egitto Ahmed Fuat Pascià, discendente di Mohamed Ali e, quindi, egli stesso di origine albanese. Tutti, per qualche ragione, suscitarono le obbiezioni dell’una o dell’altra parte delle potenze o si dichiararono poco interessati ad impegnarsi in un’impresa cosi aleatoria. Gli stessi dignitari del governo provvisorio e Ismail Kemal fecero sapere a loro volta alle Potenze, ma anche a Costantinopoli, di preferire un principe europeo, quasi a sottolineare una scelta occidentale per il nuovo stato.

Alla fine, sotto la pressione temporale, la decisione fu affidata all’Austro – Ungheria ed all’Italia che concordarono sul nome di un principe tedesco protestante, estraneo quindi alle querelles religiose degli albanesi, Guglielmo di Wied. La scelta fu subito nota, in realtà prima ancora dell’accettazione formale del Wied che però, già all’inizio del 1914, fece sapere a sua volta di avere scelto come capitale Durazzo.

Capitano nello Stato Maggiore tedesco, soldato con forte senso dell’onore e nessuna esperienza diplomatica o di governo, Guglielmo di Wied si avviò dunque verso un’avventura assai incerta che avrebbe comunque richiesto un talento eccezionale e molta fortuna.

La regina Elisabetta di Romania, scrittrice ben nota sotto lo pseudonimo di “Carmen Sylva”, amava molto il nipote ed aveva indotto Re Carol a battersi attivamente perché la scelta cadesse su di lui. Scrisse sul giovane principe articoli ispirati e poetici e addirittura che “i romeni lo avevano chiamato Lohengrin quando apparve loro nell’uniforme bianca della Guardia del Corpo, con l’aquila d’argento”.

Il Principe di Wied nell’uniforme della guardia del corpo

Il Principe di Wied nell’uniforme della guardia del corpo

La stampa italiana fu subito entusiasta del “Sovrano prescelto dall’Europa” e riprese, con commenti non meno laudativi, le descrizioni di un principe che non conosceva affatto. Gli articoli di “Carmen Sylva” ebbero il posto d’onore sulle riviste assieme alle ricostruzioni di un’adolescenza e di una giovinezza esemplari.

L’Imperatore della Germania sembrava piuttosto freddo sulle qualità del cugino, tanto che si scrisse già allora che gli avesse consigliato di non accettare. La smentita fu immediata: il Kaiser gli aveva bensì esposto le difficoltà al momento della proposta, ma dopo l’accettazione nulla aveva fatto per recedere. Nelle memorie, scritte dopo gli avvenimenti d’Albania e la stessa Guerra Mondiale, Guglielmo II ribadì tuttavia non pochi dubbi sulle capacità di governo del Principe di Wied, ma si può certo notare che egli stesso non era sull’argomento il più qualificato dei giudici.

Con compassionevole equilibro e non poca saggezza, monsignor Fan Noli, l’ecclesiastico ortodosso che fu una figura politica importante nelle successive vicende albanesi, scrisse che il Principe di Wied poteva “essere criticato per non essere stato capace di far miracoli”.

Guglielmo di Wied scrisse a sua volta un testo di memorie in cui ripetutamente lamentò che gli intrighi italiani, russi e francesi e le mene dei loro protetti, “l’immunità della Grecia per le sue macchinazioni”, ma anche la “neutralità” della Germania e dell’Inghilterra, avessero reso impossibile il suo compito e segnato il destino del breve regno. Cercò anche di spiegare la freddezza di Guglielmo II per la sua avventura albanese con il fatto che l’Imperatone “non amava l’Albania” ed era “in fondo filo greco” per l’influenza della sorella, Regina di Grecia e del cognato Re Costantino.

In una lettera allo storico inglese Swire, il Principe invocò la preponderanza del contesto europeo per giustificare il marasma in cui alla fine il suo regno in Albania era stato travolto e scrisse che, quando l’intesa austro – italiana venne a mancare e il “clima di preservazione della pace cambiò in quello della preparazione della guerra”, l’intera base della missione si dissolse, ma arrivò ad affermare che “in circostanze normali né Essad Pascià né i poveri illusi ribelli di Shijak avrebbero osato opporsi alle decisioni dell’Europa”.

Il 6 febbraio, autorizzato dall’Austria – Ungheria e dall’Italia, il Principe di Wied comunicò agli ambasciatori a Berlino di Russia, Gran Bretagna e Francia la propria disponibilità e il 21 febbraio accettò formalmente il trono nell’incontro con la deputazione albanese che si era recata a Neuwied per offrirglielo.

Dalla designazione del Principe all’accettazione della corona passarono due mesi e da questa alla partenza per Durazzo solo poche settimane, ma le turbolenze e le beghe locali non si calmarono, anzi si fecero più aspre ed in realtà anticiparono a tutti le stesse difficoltà dell’impresa.

Il Principe avrebbe preferito aspettare che si chiarisse l’intricata situazione del suo regno prima di prendere possesso, ma Berchtold premeva perché partisse al più presto per l’Albania dove la situazione si complicava sempre più. Nello stesso senso si muovevano le altri capitali europee ed anche i greci che, in fondo, non vedevano con sfavore un lento impianto del nuovo regime che prevedevano lento e impacciato, mentre temevano un deciso intervento in Epiro da parte delle Potenze.

I disordini continuarono ad intermittenza a Valona e ad Elbasan, come del resto nell’interno del paese. Nel Sud i greci, come abbiamo visto, facevano orecchio da mercante alle richieste della Commissione Internazionale ed alle ingiunzioni delle Potenze e mantenevano l’occupazione “dell’Epiro del Nord”. A Valona, sede del governo provvisorio, gli intrighi tra i capi albanesi erano continui, peggiorati poi dall’azione incessante degli agenti turchi che fomentavano il malcontento tra i musulmani per la nomina di un principe straniero e cristiano.

La rivalità era molto forte a Valona tra il capo del governo provvisorio Ismail Kemal ed il Presidente del Senato Essad Pascià. “La torbida vigilia di un regno” intitolò Gino Berri il commento editoriale “dell’Illustrazione Italiana” descrivendo senza mezzi termini i precedenti sanguinosi e gli intrighi attuali di Essad, “astuto, audace, suddito poco raccomandabile” e la risolutezza del “partito musulmano” che aveva perso la manche nella partita con le Potenze, ma che avrebbe continuato a cercare a qualunque costo di guadagnare il potere “finché vorrà Allah ed… Essad Pascià”.

 Essad Pascià Toptani, ministro della guerra e degli interni agli inizi del regno del Wied

Essad Pascià Toptani, ministro della guerra e degli interni agli inizi del regno del Wied

Lo scontro tra le due personalità scoppiò quando un tentativo di colpo di stato filo – ottomano fu sventato all’ultimo momento, ma obbligò comunque il governo provvisorio a proclamare lo stato d’assedio.

Il fallito colpo di stato di Bakir Aga bey avrebbe dovuto ribaltare le decisioni di Londra e concludersi con l’offerta della corona a Izzet Pascià che era stato il ministro ottomano della Guerra ed era albanese di origine, anche se non ne parlava la lingua. Izzet negò prontamente, ma, accanto agli ovvi sospetti di manovre turche, il gioco delle accuse reciproche riprese subito dalla stampa europea additò a turno come ispiratori del complotto sia Essad che Ismail Kemal – che naturalmente smentirono indignati – ed alimentò le prime voci di rinuncia al trono da parte del Wied.

Bekir fu subito processato a porte chiuse con i complici da un tribunale presieduto dal generale De Weer – al processo emersero elementi di un complotto giovane – turco e furono sequestrati documenti compromettenti, soprattutto per Essad – e fu condannato a morte. Tuttavia, la Commissione di Controllo decise di soprassedere all’esecuzione e di rimettere ogni decisione all’arrivo del Principe.

A Brindisi sbarcarono intanto molti albanesi che portavano notizie preoccupanti, tanto che subito si scrisse che il Wied “non avrebbe trovato sudditi” e che tutti lo avversavano per la questione religiosa o per la scelta della capitale, perché la decisione per Durazzo aveva “offeso” gli altri centri del paese. “Albania in fiamme? Gravi notizie da Valona e Brindisi. L’Italia si premunisce” intitolava il “Giornale di Sicilia” del 13–14 gennaio e “Essad assicura fedeltà all’eletto dell’Europa”.

Il giorno dopo il “Corriere della Sera” pubblicò infatti un’intervista che Essad Pascià aveva rilasciato a Durazzo. Pur non smentendo i sentimenti che provava per la Turchia, il pascià cercava soprattutto di far capire al Wied che in realtà doveva il trono a lui, ma che egli stesso non disperava di diventare un giorno principe d’Albania. Un messaggio di fedeltà piuttosto strano ed un tortuoso discorso politico che il Principe forse non avrebbe capito se Essad non si fosse premurato di chiarirgliene il senso con incredibile lettera di allègiance che la stampa viennese pubblicò una settimana dopo. Il pascià assicurò al Principe che “vita sua durante o fino a che egli rinunziasse al trono, nessuna altra persona [sarebbe stata] fatta re d’Albania” e concludeva “nel caso che Sua Altezza rinunziasse o morisse, sarei io solo che potrei succedergli”.

Cominciarono a percepirsi i malumori contro Wied perché la data della partenza, più volta anticipata dai giornali, slittava sempre. Apparvero i primi articoli sulla necessità che il Principe andasse al più presto a Durazzo “affinché le popolazioni [vedessero] la volontà dell’Europa rispettata”. Il “Giornale di Sicilia” si disse certo che “la sua vita [sarebbe stata] triste e grama”, ma assicurò di seguirne le vicende “con ammirazione, simpatia e timore”.

Alla “Zeit” di Vienna diversi potentati albanesi rilasciarono le più bizzarre dichiarazioni. Alcuni definirono il metodo adottato per la scelta del Principe “una mancanza di riguardo da parte delle Potenze”, altri previdero con accenti minacciosi che le feste per l’arrivo del Sovrano avrebbero potuto essere “turbate da fucilate […] di gioia” e precisarono che si prevedeva la partecipazione di cinquantamila albanesi “che portano sempre le armi e non si sa mai […]”. Un intervistato deplorò che il Wied non fosse ancora andato in Albania per aspettare “i milioni promessi dall’Europa”, ma che intanto “aveva spedito 500 colli e il suo medico personale per accettare le condizioni sanitarie” ed un altro infine, che il Principe “avrebbe fatto comprendere di volersi circondare solo di tedeschi e inglesi e di voler escludere dalla sua corte la vecchia aristocrazia albanese […]”.

La situazione del governo provvisorio era diventata intanto insostenibile. Il 15 gennaio Ismail Kemal propose che la Commissione di Controllo assumesse il governo provvisorio. Le Potenze accettarono ringraziando molto calorosamente l’anziano patriota che partì per l’Europa dopo aver inviato a San Giuliano e Berchtold un nobile messaggio in cui li pregava di “assistere questo popolo valoroso ed infelice e difendere i suoi diritti troppo poco rispettati dai suoi nemici”.

Con la partenza di Ismail Kemal e di Essad – che aveva promesso di dare le dimissioni contemporaneamente – un periodo di relativa calma avrebbe potuto instaurarsi, ma Essad finse di dimettersi ( si giustificò poi dicendo che Ismail Kemal era stato in realtà destituito e che il complotto di Bekir era ancora in atto) ed anzi fece sapere che sarebbe egli stesso andato incontro al Principe di Wied, felice di potergli offrire personalmente il trono d’Albania.

La Commissione a sua volta si limitò a porre come condizione che Essad desse le dimissioni prima della partenza e lo incaricò di presiedere la deputazione che avrebbe offerto la corona al Principe. Il gioco d’azzardo del pascià era riuscito.

Link seconda parte: Il regno del Principe di Wied (2)

Tratto dal libro Albania: un regno per sei mesi dell’autore Ferdinando Salleo

Link versione albanese: Mbretëria e Princit të Vidid (1)

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